È finito, ahimè, il tempo in cui la “forgia” – il ferro battuto lavorato faticosamente a mano – dava il meglio di sé. Ed ogni creazione – una rostra come un cancello, una grata come una lanterna (ma non solo) – era una vera opera d’arte.

Ora, forse, quel tempo è tornato grazie anche alle mani ed al cuore di Angelo Mugnaini.

Che, non al caso, si definisce “scultore” ed “artigiano”: perché lo è.

Artigiano per l’assoluta e versatile padronanza delle tecniche, memore ed erede di una grande tradizione che nel nostro Paese ebbe illustri esempi: e, questa, è la mano di Angelo, di cui ancestrale ed eterno simbolo rimangono il fuoco, l’incudine, il martello, lo scalpello.

Scultore e, quindi artista per il miracolo con cui egli riesce a liberare dalla gravità massiccia e severa di un metallo tra i più difficili un messaggio profondo, sicuro e sincero: come lui. E non è Arte (con la maiuscola) tale perenne dialogo in tensione tra spirito e materia, che si dipana da un binomio millenario interno all’uomo? La suggestione arriva a ricondurre immediato il pensiero – ad una o più compiuta esperienza della sua opera – da un lato alla raffinatezza di un celliniano cesello e, quasi all’opposto, alla forza a stento rattenuta di un michelangiolesco prigioniero.

Tutto questo, credo, sarebbe già sufficiente per dare ad Angelo Mugnaini quella veste di uomo e di artefice – indossata ormai sempre più raramente – se, insieme a ciò, non vi fosse anche un percorso, personalissimo, che riassume il meritato e dimenticato titolo di “magister”. Già, maestro: perché Angelo ha qualcosa da insegnare, e lo fa, con semplicità ed umiltà. Un senso eterno della vita (non a caso sovente richiamata nel titolo delle sue opere), a discapito della nostra effimera ed approssimativa presunzione di protagonismo.

Certo, a questa matrice non è estraneo il suo costante riferimento, meglio anelito, alla natura, alla sua forza, le sue energie; ad un contatto quotidiano e costante con il creato, così come con le creature. E, inevitabilmente, con il Creatore. Un anelito che già dalle sue realizzazioni più antiche (“Mondo nella mano”, 1975) dà la misura piena – sono le parole dell’artista – della volontà di conoscere il mondo, il più possibile, di trarre esperienza dalle sue risorse più belle, in primo luogo dalla natura. Nell’abisso dei mari così come nel silenzio cosmico dei cieli, tra gli animali e le piante. Con punte di lirismo talora davvero altissime e di grande dolcezza (“L’albero dei pianeti”, 1978).

Che, ancora una volta, testimoniano – ben lungi dai triti luoghi comuni – come delicatezza e forza d’animo in un uomo possano convivere, senza pudori, nella ricerca di una verità che Angelo Mugnaini traduce dal ferro con evocatrici suggestioni. Simbolicamente riassunte, forse più che altrove, nel suo immaginifico “don Chisciotte”.

 

Mauro Del Corso

 

Presidente della Federazione Italiana Amici dei Musei